Col termine Pasque piemontesi ci si riferisce alle persecuzioni condotte dal Duca di Savoia in danno dei Valdesi a far data dalla Domenica delle Palme del 1655.
Le campagne omicidiarie, non sospese neppure dalla censura internazionale, produssero la morte di oltre mille e settecento Persone e furono ragione delle guerre sabaudo/valdesi.
Il movimento religioso perseguitato era stato fondato dal Mercante di Lione Pietro Valdo che, tra il 1173 ed il 1175, dopo aver concesso tutti i beni di sua proprietà agli Indigenti, aveva adottato una vita di povertà e di predicazione prima di darsi alla clandestinità per l’accusa di eresia: gli si imputava il sovvertimento della tradizione cristiana e la scelta di una confessione fondata su un patto col demonio.
I suoi Seguaci si ritirarono nelle valli alpine, ove maturò la tragedia.
Antefatti
I rapporti tra la Comunità valdese ed il Ducato di Savoia si inasprirono dopo la morte di Vittorio Amedeo I, nel 1637, con l’ascesa al trono di Carlo Emanuele II per il quale esercitò la reggenza la madre Maria Cristina di Borbone/Francia.
Le lotte tra Costei ed i Cognati aspiranti al governo, indussero al comune tentativo di strumentalizzare i Valdesi e di accattivarsi la protezione, il sostegno ed il potere della Chiesa romana: tradendo gli impegni sanciti dalla Pace di Cavour¹, fu condotta una graduale e progressiva riduzione delle libertà dei Valdesi residenti nelle valli occidentali del Piemonte, fino a costringerli ad arretrare nelle aree montane mentre veniva imposta una forzata cattolicizzazione.
Editti in successione ridussero i diritti di quella Comunità, fino a quello del 15 maggio del 1650 producendo, negli anni successivi, molti episodi mirati ad eccitare le tensioni.
Nel 1653 i Valdesi furono ingiustamente accusati dell'incendio del monastero di Villar Pellice; ma la circostanza non condizionò la firma, nello stesso anno, di un trattato tra Ducato e Valdesi col ripristino di preesistenti privilegi ed annullamento del decreto del 1650.
Successivamente alcuni Giovani furono accusati di avere abbattuto un pilone votivo ed Altri ancora di aver disturbato una processione cattolica facendola attraversare da un asino.
Nello stesso periodo morì la Marchesa di Pianezza, molto attiva nella cristianizzazione delle Valli: Ella lasciò il proprio patrimonio al Coniuge Carlo Emanuele di Simiana, Militare di carriera ed alto Funzionario della Propaganda Fide, con la clausola di investirlo per agevolare la conversione dei Ribelli.
Confortata dai Gesuiti, la Propaganda Fide esercitò vive pressioni sui Duchi di Savoia per rimuovere l’eresia dalle valli e il Duca si attrezzò per un'azione militare, contando di avvalersi anche del supporto di truppe francesi di ritorno da Modena.
Il casus belli si presentò nel 1655, con l'omicidio di un Sacerdote cattolico a Torre Pellicce: previa promessa di immunità l'assassino: tal Berru, accusò ingiustamente il Moderatore valdese Jean Léger cui fu irrogata la condanna a morte in contumacia.
Un editto del 15 gennaio del 1655 richiese l'applicazione del decreto del 1650, in particolare dove esso prevedeva che la Comunità perseguitata abbandonasse i territori di valle e arretrasse nelle sole aree di Angrogna, Bobbio Pellice, Villar Pellice e Rorà: si decise che l’atto impegnasse solo i Capi famiglia e fu aperto un tavolo negoziale col Duca.
Le trattative durarono fino ad aprile, quando una Delegazione valdese avrebbe dovuto incontrare il Marchese di Pianezza; ma Costui disertò l’incontro e il 16 aprile lasciò la città per raggiungere il suo esercito già in minacciosa marcia.
La presa di Torre Pellice
Le operazioni militari cominciarono il 17 aprile del 1655, quando il Marchese di Pianezza acquartierò a Torre Pellice ottocento Soldati e trecento Cavalieri.
I Valdesi protestarono ma la sera stessa le truppe si accamparono sotto le mura del borgo.
Temendo di inasprire la situazione, Essi non si disposero alla difesa malgrado Giosuè Javanel, di Rorà avesse raccolto Volontari per una resistenza attiva.
Il Marchese attaccò la cittadina.
Dopo circa tre ore di scontri, gli Invasori riuscirono a sfondare le difese dei Residenti e ad aggirare le barricate.
Fu una fuga generale verso le montagne.
Il giorno successivo: domenica delle Palme, il Marchese si pose a caccia dei Fuggitivi ed attese i rincalzi del Ducato, così contando su molte migliaia di Unità armate.
Jean Léger, presente ai fatti, parlò di quindicimila Uomini mentre altre Fonti riferiscono di quarantamila Uomini divisi in quattro Reggimenti comandati rispettivamente dal Signor de Petitbourg, dal Marchese Galeazzo, dal Principe di Montafon e dal Marchese di San Damiano.
Si trattava di un corpo promiscuo: Soldati, Criminali ed Irlandesi che, espulsi dall’Inghilterra di Cromwell, si erano aggregati al Pianezza previa promessa di ricevere in pagamento le terre espropriate ai Valdesi.
La strage
Domenica 18 aprile, i Valdesi fuggiti da Torre Pellice ripararono sulle montagne ma il giorno successivo furono attaccati dalle truppe del Pianezza a Torre Pellice, Luserna San Giovanni, Angrogna e Bricherasio.
Riuscirono a difendersi ma il 20 subirono nuovi assalti anche a Tagliaretto.
Il 21 il Pianezza fece convocare i Rappresentanti della Comunità e sostenne che gli attacchi non erano stati determinati dalla insubordinazione di truppe difficilmente controllabili e, pertanto, propose di separarle dislocandole in piccoli gruppi in tutti i paesi della valle onde meglio sorvegliarli.
L’ingenuità dominò: solo Léger e Javanel si opposero.
In serata, a Tagliaretto, fu dato fuoco alle case e, a margine della massiccia fuga in val Chisone, nei Paesi restarono solo Vecchi e Donne e Bambini: la Val Pellice fu occupata e si ebbe notizia di vari eccidi.
Nei giorni successivi il Marchese cercò di guadagnarsi la fiducia della Gente sollecitandola a richiamare a casa i Fuggitivi una cui parte, rassicurata e fiduciosa, rientrò.
Sabato 24 aprile: vigilia di Pasqua, alle 4 del mattino, ad un segnale convenuto iniziarono a tradimento le operazioni militari: la Soldataglia assalì la Popolazione civile; uccise; stuprò; torturò; massacrò con ferocia.
I pochi Superstiti si rifugiarono nel Queyras; Altri furono arrestati; Altri ancora furono obbligati alla conversione; i piccoli Orfani furono affidati a famiglie cattoliche e si salvò la sola Gente di San Martino in val Germanasca che, avvertita da Emanuele Bocchiardo, scappò a Val Chisone.
Il culto valdese fu proibito e le abiure divennero doverose.
Informato della condotta del Pianezza, il Signore di Petitbourg ne prese le distanze e si dimise dal comando: le Vittime si concentrarono soprattutto a Pra del Torno, Villar Pellice, Bobbio Pellice, Rorà e Prali con un bilancio complessivo, stando ad atti del 1656, di circa duemila Morti e la deportazione di centoquarantotto bambini.
Il Marchese negò fermamente le azioni contro la Popolazione civile, ma fu smentito da scene di tortura raccontate nel diario di uno dei suoi Ufficiali e lo stesso de Petitbourg, il 27 novembre del 1655, fece pubblicare una dichiarazione giurata e sottoscritta davanti a Testimoni, in cui dichiarava di aver assistito personalmente a supplizi e omicidi: tra i più atroci, traforare i calcagni delle Vittime e, attraverso le ferite, far scivolare delle corde utili al trascinamento per le vie dei borghi.
“…Uomini scannati posti al ludibrio de' viandanti, pargoli strappati al seno materno e sfracellati contro le rocce: fanciulle e donne vituperate, impalate lungo le vie…"
(G. Bruno Guerri: Antistoria degli italiani)
A Rorà
Al mattino del 24 aprile un battaglione di circa seicento Uomini del Reggimento di San Damiano, guidati dal Conte Cristoforo di Lucerna, avanzò su Rorà: Janavel li vide arrivare; si posizionò con sei dei suoi presso roccia Rumer, riuscendo a metterli in fuga; avvertì poi i Compaesani che inviarono una protesta al Marchese di Pianezza.
Il 25, un altro Battaglione si avvicinò a Rorà: ancora Janavel con diciassette Compagni lo colse di sorpresa e costrinse ad arretrare.
Nella notte tra il 26 ed il 27 i Residenti abbandonarono l’area e ripararono sulle pendici del monte Friolànd, mentre una Riserva del bugiardo Marchese bruciava le case e si appropriava di mandrie e di greggi.
Janavel li assalì a Damasser e poi ancora a Pian Pra e recuperò i beni rubati.
Il Pianezza inviò un’altra truppa comandata da Gian Bartolomeo Malingri di Bagnolo che il 28 entrò in Rorà ma fu ancora respinto da Janavel.
Il Marchese, allora, intensificò gli attacchi divise diecimila Uomini in tre Reparti e il 3 maggio li fece rispettivamente muovere da Bagnolo, da Villar Pellice e da Luserna:
Attuarono un massacro, bruciando e saccheggiando villaggi, uccidendo Civili, deportando Superstiti.
Fu il trionfo dello spietato Pianezza che così ne scrisse al Duca: … Già si sono piantate le insegne vittoriose in tutto il recinto di questi alpestri monti... non si sentono più armi ribelli, ogni cosa è deserta... estinta la perversità…
Il 4 maggio infine lanciò un ultimatum: se non si fosse arreso, avrebbe fatto torturare la moglie e le figlie di Javanel che riuscì a fuggire in Delfinato con la Famiglia e i Fedelissimi.
La Comunità internazionale
Notizie del massacro raggiunsero Parigi e i Paesi Bassi e l’Inghilterra mentre la Duchessa di Savoia chiedeva a Mazzarino di negare ai Profughi l'accesso in Francia.
I governi di Svezia e Danimarca e vari Cantoni elvetici manifestarono sostegno ai Valdesi.
Oliver Cromwell si offrì di accoglierli in Irlanda, ma Essi chiesero di inviare un Legato a Torino per perorare con i Savoia la loro causa.
Il Re di Francia li prese sotto propria tutela.
I Savoia tentarono di negare le evidenze ma furono isolati su piano internazionale.
Janavel ed i suoi rientrarono nelle valli per il contrattacco, mentre un contingente irlandese veniva acquartierato a Bibiana.
Prese le armi anche l’esule Bartolomeo Jahier e si unirono tutti sul torrente di Angrogna: attaccarono San Secondo di Pinerolo, mentre Pianezza poneva taglie sui Capi della resistenza sostenuta anche da Ugonotti francesi e da Volontari del Queyras e della val Chisone.
La lotta si intensificò ma dall'estero giunsero rinforzi e le valli furono orrendamente insanguinate.
Le Patenti di Grazia
Le Diplomazie europee intervennero: il Re di Francia aveva assicurato il proprio appoggio a Cromwell ed istruito il proprio Legato de Servient a Torino.
Lo stesso governo inglese inviò il Plenipotenziario Morland.
Paesi Bassi e Svizzera inviarono i loro Rappresentanti.
La Duchessa di Savoia negò le atrocità commesse e parlò di generiche e impunite ribellioni.
Si aprirono i negoziati tra la corte sabauda ed i Referenti valdesi.
Il 18 agosto del 1655 furono firmate a Pinerolo le Patenti di Grazia ovvero il perdono per la insurrezione armata e il ripristino della libertà civile e religiosa con l’introduzione di nuove e limitative norme rispetto al Trattato di Cavour del 1651.
I termini non furono mai rispettati e le tensioni non si attenuarono: il latitante Janavel, che subì la condanna a morte in contumacia nel 1661, espatriò a Ginevra mentre Léger si trasferiva a Leida.
Nel 1664 il Ducato di Savoia rilasciò nuove patenti, durate fino alle persecuzioni del 1685.
Conclusioni
In definitiva si trattò di una persecuzione sistematica condotta dai Cattolici: un autentico olocausto diretto dalla prima Madama Reale Maria Cristina vedova del Duca Vittorio Amedeo di Savoia e Responsabile di una delle pagine più buie della storia italiana. Ella tradì il trattato di pace di Cavour firmato quasi un secolo prima a garanzia della libertà di religione a favore dei Valdesi stanziati nelle valli alpine ed avviò una brutale campagna di sterminio nelle valli e sui monti del pinerolese.
Furono le Pasque piemontesi
Note
La pace di Cavour fu sottoscritta nella omonima località, nella Casaforte degli Acaja-Racconigi il 5 giugno 1561, dai Ministri delle valli valdesi del Piemonte e Filippo di Savoia, in rappresentanza del Duca Emanuele Filiberto.
La comunità, che già agli inizi del XIII secolo era stata oggetto di persecuzione per la posizione antigerarchica nei confronti della Chiesa romana, si rifugiò inizialmente nell’area saluzzese e del Delfinato ma le vessazioni ricominciarono con sentenze di eresia ed esecuzioni. Nel 1532, aderendo alla Riforma, i Valdesi abbandonarono definitivamente la realtà cattolica derivandone il clima persecutorio contro il quale maturò una tenace resistenza, anche armata fino ad assumere le connotazioni di una trentennale guerra civile e fino a costringere Emanuele Filiberto a concedere una parziale tolleranza. L’accordo fu considerato, assieme al successivo trattato di Turda del 1568, uno dei primi atti ufficiali riferiti alla concessione di libertà religiosa e garantiva alla angariata Comunità il diritto di professare la confessione riformata. Per circa un secolo i Valdesi godettero di una relativa tranquillità ma nel1655, con le Pasque piemontesi, furono interdetti quei diritti pur sanciti e dovettero riarmarsi per la sopravvivenza.
Bibliografia
G. Bruno Guerri: Antistoria degli italiani