Febbraio 5, 2024

Caterina Sforza e Girolamo Riario

…Ella era savia, animosa, grande: complessa, bella faccia, parlava poco; portava una veste di raso con due braccia di strascico, un capperone di velluto nero alla francese, un cinto da uomo, e scarsella piena di ducati d'oro; un falcione ad uso di storta accanto, e tra i soldati a piè, e a cavallo era temuta assai, perché quella Donna coll'armi in mano era fiera e crudele. Fu figlia non legittima del conte Francesco Sforza, primo capitano de' tempi suoi e a quale fu molto simile nell'animo e nell'ardire, e non mancò, essendo ornata di virtù singolare, di qualche vizio non piccolo né volgare… (Bartolomeo Cerretani).

Nacque a Milano verso il 1463 e morì il 28 maggio del 1509 a Firenze, dopo aver dedicato l’esistenza alla amorevole cura dei tanti Figli, dei quali solo il celebre Capitano di Ventura Giovanni dalle Bande nere ne ereditò la forte personalità ed il carisma eroicamente difendendo i propri beni dalla furia egemone di Cesare Borgia.

L'infanzia lombarda

Nacque illegittima da Lucrezia Landriani e dal Duca Galeazzo Maria Sforza che poi la legittimò e che, nel 1466, fece trasferire a Corte i suoi quattro figli: Carlo, Chiara, Caterina e Alessandro, cresciuti ed educati dalla moglie Bona di Savoia e dalla Nonna Bianca Maria.

Al Palazzo di Milano e di Pavia, frequentato da Intellettuali ed Artisti, l’intera prole ricevette la medesima formazione: studio del Latino; lettura delle opere classiche e uso delle armi.

Caterina aveva dieci anni quando, nel 1473, le fu programmato il matrimonio con Girolamo Riario figlio di Paolo e di Bianca della Rovere, a sua volta sorella di Sisto IV.

In realtà, a Costui era stata destinata la cugina undicenne Costanza Fogliani, rifiutata perché sua madre Gabriella Gonzaga aveva posto come condizione che la consumazione delle nozze avrebbe dovuto avvenite solo al compimento dell'età legale della Sposa, ovvero a quattordici anni. Per Caterina furono accolte le richieste di Girolamo; tuttavia si assume che, malgrado il rito fosse officiato nel 1473, la Sposa fu rispettata fino al compimento del tredicesimo anno.

Sisto IV procurò al Nipote Riario la signoria di Imola, nella quale la giovane Sforza entrò con ogni solennità nel 1477.

Fra Roma, Imola e Forlì

Dopo un soggiorno a Deruta, Caterina giunse a Roma nel maggio del 1477: mentre il Coniuge si occupava di politica, Ella coltivò l’Aristocrazia capitolina e l’amicizia con Artisti; Filosofi; Letterati e Musicisti di fama europea.

Ammirata e considerata la più bella ed elegante Signora dell’Urbe, presto divenne un’abile Mediatrice fra la Corte romana e le Corti italiane.

A Girolamo intanto, dopo la morte prematura del fratello Cardinale Pietro, il Papa assegnò un ruolo cruciale nella strategia espansiva della Chiesa ai danni di Firenze: crudele ed impopolare, nel 1480 violando i diritti degli Ordelaffi, gli attribuì anche la Signoria di Forlì per ampliare il potere ecclesiale in Romagna.

L'arrivo dei nuovi Signori in quella terra fu preceduto dalla ostentazione dei beni, che sfilarono per otto giorni a dorso di muli ricoperti da panni d'argento e d'oro e dallo stemma inquartato con la rosa dei Riario e il drago dei Visconti, seguiti da carri colmi di forzieri.

I Commissari cittadini ricevettero Girolamo e Caterina a Loreto il 15 luglio del 1481; a Porta Cotogni li presentarono al Vescovo Alessandro Numai che gli consegnò le chiavi della città; li omaggiarono con festanti Rampolli locali vestiti di bianco e di oro e sventolanti rami di ulivo, su un carro allegorico: il corteo sfilò sotto un arco trionfale simboleggiante la Forza, la Giustizia e la Temperanza, e proseguì verso la cattedrale di Santa Croce ove Girolamo fu preso a braccia e trasportato in chiesa per la recita del Te Deum.

Caterina fu, invece, scortata nei saloni del Comune ove il Marito, che aveva attenuato il sistema fiscale e dato avvio alla costruzione di molte opere pubbliche, confermò le esenzioni promesse e vi aggiunse quella della tassa sul grano prima di distribuire dolci e aprire le danze.

Nei giorni successivi, l’Aristocrazia romana al seguito della coppia partecipò ad una grande giostra ed alla rievocazione della cattura turca di Otranto, avvenuta nell'agosto dell'anno precedente.

Il 12 agosto i Riario/Sforza furono formalmente proclamati Signori di Imola.

Il 2 settembre del 1481 partirono per Venezia per tentare di coinvolgerla nelle operazioni militari promosse da Sisto IV contro i Turchi, in realtà aspirando ad un sodalizio con la Chiesa per espellere gli Estensi da Ferrara onde accorparla ai domini romagnoli in cambio di Reggio e Modena: Ercole d’Este, infatti, pur formalmente Vassallo della Chiesa, aveva servito i Medici contro il Papa; era stato scomunicato; era inviso ai Veneziani per avere sposato Eleonora d’Aragona ed aver consolidato i rapporti con il Regno di Napoli.

Il corteo si imbarcò a Ravenna e, traversata Chioggia, giunse a Malamocco ove fu accolto sul bucintoro dal Doge Giovanni Mocenigo che riservò ogni possibile onore agli Ospiti ma ne respinse fermamente tutte le proposte politiche.

L'anno successivo la Serenissima cercò invano di sottrarre Ferrara agli Estensi, riuscendo ad occupare la sola Rovigo e le saline del Polesine.

Si era già consumata, nell’ottobre del 1480 la congiura ordita da due Sacerdoti e due Parenti del Castellano di Forlì al fine di assumere il controllo della Rocca di Ravaldino e assegnarla agli Ordelaffi: Girolamo e Caterina non ne avevano ancora preso possesso, poiché in quei mesi erano a Roma.

La cospirazione era fallita in quanto un terzo Prete ne aveva riferito al Governatore locale che, a sua volta, ne aveva informato il Riario.

Se agli Ecclesiastici fu comminato l’esilio nelle Marche, ai Sodali fu irrogata l’impiccagione; tuttavia un mese più tardi fu scoperta un’altra congiura: il 13 dicembre tre carri pieni di armi coperte di paglia avrebbero dovuto raggiungere Porta Schiavonia; prenderne possesso ed introdursi in città per sollevare il Popolo a sostegno degli Ordelaffi.

Il 22 dicembre cinque dei Sovvertitori furono appesi alle finestre del Palazzo comunale ed altri tre furono banditi e poi graziati.

E ancora: malgrado le elargizioni e le opere pubbliche promosse dal Riario, gli Artigiani forlivesi ordirono un ulteriore complotto riunendosi nella Pieve di San Pietro in Trento per uccidere la coppia e restaurare i vecchi Signori.

La trama era condivisa non solo dagli stessi Ordelaffi, ma anche da Galeotto Manfredi di Faenza; da Giovanni II Bentivoglio di Bologna e da Lorenzo de’ Medici, deciso a vendicarsi della Congiura dei Pazzi che aveva avuto il Papa come Ispiratore e Regista.

L'attentato avrebbe dovuto compiersi quando i Riario, reduci da Venezia, avessero raggiunto il territorio di Imola; ma la notizia trapelò; il piano fu sventato e Girolamo rafforzò la propria scorta.

Diffidando del Popolo, nei mesi successivi, Egli lasciò di rado il palazzo e il 14 ottobre del 1481 si accinse ad un nuovo viaggio a Roma mentre la Giustizia faceva il suo corso: il 15 novembre cinque persone furono impiccate ed altre esiliate e costrette ad ammende il cui ricavato fu donato alla cattedrale di Santa Croce.

Lo scontro di Campomorto

Nel maggio del 1482 l'esercito veneziano di Roberto Sanseverino attaccò il Ducato di Ferrara: il Regno di Napoli inviò truppe a sostegno degli Estensi affidandone il comando al Duca di Calabria Alfonso d’Aragona; ma Sisto IV gli interdisse il transito nello Stato della Chiesa. Egli, allora, si acquartierò a Grottaferrata mentre l'Esercito ecclesiale condotto da Girolamo gli muoveva contro. L'inesperienza militare e il disimpegno dei Mercenari non pagati favorirono l’insubordinazione, costringendo il Pontefice a chiedere l’intervento dei Veneziani, che impegnarono Roberto Malatesta. Costui sfidò i Partenopei il 21 agosto sul territorio di Campomorto, ovvero sul litorale laziale tra Torre Astura e San Pietro in Formis ove, dopo sei ore di scontri, li annientò seminando oltre duemila Vittime e catturando circa quattrocento Aristocratici.

L’evento chiamò in causa i Pontifici con Girolamo Riario, Roberto il Magnifico, Raimondo Malatesta, Niccolò Orsini di Pitigliano, Giulio Cesare da Varano, Cristoforo da Tolentino, Giordano e Jacopo Orsini, Renato Trivulzio e le truppe del Regno napoletano con Alfonso II, Prospero Colonna, Antonio Piccolomini, Battista Collalto, Teodoro Trivulzio e Giovanni Sanseverino.

I fatti:

il Duca ed erede al trono napoletano Alfonso di Calabria che, deciso a raggiungere Ferrara, si era visto negato il passaggio nei territori papali, li aveva invasi alleandosi con i Colonna ed i Savelli contro Sisto IV.

La battaglia, combattuta il 21 aprile del 1482 segnò il trionfo del Malatesta e dei Pontifici a conclusione di uno scontro cruento; della messa in fuga delle Truppe nemiche e della sottoscrizione di un armistizio firmato il successivo 28 novembre.

Caterina intanto era a Roma, ove la si era vista raccolta in preghiera mentre Forlì era nelle mani del debole Vescovo di Imola.

Ancora una volta i Medici, gli Ordelaffi, i Manfredi e i Bentivoglio profittarono delle circostanze assalendo a sorpresa la città: i Forlivesi si difesero coraggiosamente mentre il castellano di Ravaldino Tommaso Feo inviava Legati ad informare Riario, dal quale ottenne giusti aiuti: Gian Francesco da Tolentino accorse ed espulse i Ribelli.

Roma: la guerra civile

Non è chiaro se fosse stato stroncato da un attacco di malaria o dal veleno, ma Roberto Malatesta si spense il 10 settembre, dopo essere stato osannato a Roma come Liberatore.

Il suo decesso accese in Riario la speranza di occupare la Signoria riminese; tuttavia, i Fiorentini costrinsero il Papa a riconoscere il diritto ereditario del settenne Pandolfo IV quale Figlio naturale.

Nei mesi successivi Girolamo divenne il Padrone di Roma: sodale con gli Orsini contro i Colonna ed i Savelli, alimentò la guerra civile; non pagò i debiti contratti; permise ai suoi Uomini ogni sorta di brutalità; fece catturare e torturare e decapitare Lorenzo Colonna a Castel Sant’Angelo, malgrado i Familiari della vittima gli avessero promesso la cessione di Marino, Rocca di Papa ed Ardea.

Nel frattempo, il 6 gennaio del 1483 Sisto IV si strinse in lega con gli Estensi, gli Sforza, i Gonzaga e i Medici contro Venezia che aveva attaccato il Ducato di Ferrara e ne scomunicò il Consiglio dei Pregadi ottenendo, infine, anche il sostegno di quel Regno di Napoli col quale era in guerra l'anno precedente.

Nominato Capitano generale, assieme a Caterina il Riario partì per Forlì giungendovi il 16 giugno e continuò le operazioni militari fino ad ottobre quando, informato della ennesima congiura omicida degli Ordelaffi, per le insistenze del Papa tornò a Roma lasciando la cura di Forlì al Governatore Giacomo Bonarelli.

Il 2 novembre i Cospiratori furono impiccati al Palazzo Comunale.

Il 7 agosto del 1484 fu siglata la pace di Bagnolo: i Veneziani mantenevano il controllo del Polesine e di Rovigo, ma cedevano Adria agli Estensi.

Nella notte tra il 12 e il 13 agosto il Papa morì di gotta: la notizia spianò la via al saccheggio e alla violenza e la residenza dei Riario, ovvero Palazzo Orsini di Campo de’ Fiori, fu assaltata e devastata.

La coppia si trovava nell'accampamento di Paliano.

Il Sacro Collegio le intimò di ritirarsi con le truppe a Ponte Milvio: Girolamo vi giunse il 14 agosto; Caterina, invece, di diverso avviso, assieme a Paolo Orsini cavalcò sino a Castel Sant’Angelo; cacciò il Vicecastellano Innocenzo Codronghi; occupò l’edificio a nome del Marito; ordinò, infine, che i cannoni fossero puntati contro lo Stato della Chiesa.

Il controllo della fortezza le garantiva la possibilità di esercitare pressioni per la elezione di un Primate amico: Roma cadde nell’anarchia e un gruppo di Cardinali rifiutò di partecipare al funerale di Sisto IV e di entrare in conclave, per non cadere sotto il fuoco delle Artiglierie della pugnace Signora.

Girolamo nel frattempo decise di rinunciare ad un'azione di forza.

Su richiesta di Giuliano della Rovere, il Sacro Collegio gli chiese di lasciare Roma entro la mattina del 24 agosto, offrendogli ottomila ducati; il ristoro dei danni subiti; la conferma della Signoria su Imola e Forlì e il ruolo di Capitano generale della Chiesa.

Egli accettò, ma non Caterina che, quando informata della decisione del Coniuge, introdusse nel Castello altri centocinquanta Fanti; si accinse alla resistenza sostenendo di non poter lasciare la fortezza perché incinta; indisse feste e banchetti in scherno ai Cardinali che ricorsero al Riario minacciandolo di non onorare i patti, se Ella non avesse desistito dalle intollerabili provocazioni.

La sera del 25 agosto otto Porporati, tra cui lo zio Ascanio Sforza, si presentarono davanti a Castel Sant’Angelo e, dopo faticosi negoziati, la Sforza si risolse ad abbandonare il palazzo.

E fu il conclave!

A Forlì

Lungo il viaggio verso Forlì i Riario appresero della elezione di un Papa a loro ostile: Innocenzo VIII, al secolo Giovanni Battista Cybo che confermò a Girolamo la Signoria su Imola e Forlì e la nomina di Capitano generale dell'esercito ecclesiale, dispensandolo dalla presenza a Roma; sottraendogli ogni sostanziale funzione e riducendogli la retribuzione.

Malgrado la perdita dei redditi che il servizio alla Chiesa garantiva, Riario lasciò le esenzioni già concesse agli Abitanti di Forlì e completò la rocca di Ravaldino.

Il 30 ottobre 1484 la coppia fu allietata dalla nascita di Giovanni Livio e il 18 dicembre del 1485 di Galeazzo Maria ma, alla fine di quell’anno, la spesa pubblica si era fatta insostenibile e pressato dal membro del Consiglio degli Anziani Nicolò Pansecco, Girolamo riorganizzò la politica tributaria ripristinando i dazi già soppressi.

La Popolazione insorse: lo scontento di Contadini, Terrieri, Artigiani, Notabili e Aristocratici produsse un clima di diffusa insoddisfazione e l’esigenza di rovesciare la Signoria, con l’appoggio del nuovo Papa e di Lorenzo de' Medici che, alla fine del 1485, indusse Taddeo Manfredi ad un fallito colpo di mano su Imola: in tredici furono giustiziati.

Le congiure dei Roffi e degli Orsi

Nel settembre del 1486, quando Girolamo Riario era ancora convalescente da una lunga malattia, Caterina ad Imola apprese da un Messo del Governatore forlivese Domenico Ricci che tali Roffi: Contadini di Rubiano, avevano sfondato Porta Cotogni e ne erano stati respinti dalle guardie urbane.

Ella si portò personalmente a Forlì; interrogò i Ribelli; scoprì che il piano era ancora una volta diretto dagli Ordelaffi e fece giustiziare sei degli Accusati.

All'inizio del 1488 il malcontento contro Riario montò per l’ulteriore inasprimento fiscale: il dramma esplose durante la Quaresima, quando Egli cercò invano di farsi restituire il credito di duecento ducati d'oro vantato col nobile forlivese Checco Orsi che, nel 1482, aveva beneficiato della sua generosità nel favorire la carica senatoria romana di suo fratello Ludovico.

Lorenzo de' Medici guidò i due germani verso la congiura col sostegno del Signore di Faenza Galeotto Manfredi: i due Orsi furono fiancheggiati da Giacomo Ronchi e Ludovico Pansechi, ovvero uno degli Esecutori della Congiura dei Pazzi.

Il 14 aprile proprio il Primo si recò al Palazzo Comunale e persuase il nipote Gasparino, Cameriere dei Riario, a sventolare il proprio cappello da una finestra quando Egli si fosse seduto a cena.

Al tramonto i Congiurati attesero il segnale e quando lo ebbero ottenuto salirono indisturbati sino alla Sala delle Ninfe: Checco Orsi precedette gli Altri e vide Girolamo proteso sul davanzale di una delle finestre assieme al Cameriere Nicolò da Cremona; al Cancelliere Girolamo da Casale e a tal Corradino Feo.

Egli accolse cortesemente l'Ospite, che surrettiziamente esibì una lettera con cui intendeva assicurarlo della imminente estinzione del debito; ma, quando Riario tese il braccio destro per prenderla, estrasse un coltello e gli inferse un secco fendente al pettorale destro.

Girolamo gridò al tradimento; si rifugiò sotto un tavolo e infine fuggì verso le stanze della Moglie, ma il Ronchi e il Pansechi lo inseguirono e lo finirono a colpi di pugnale.

I tre Assassini si dettero poi alla fuga: Corradino Feo corse da Caterina che, prima di barricarsi nelle proprie stanze con la Prole, ordinò l’immediato arresto ed esecuzione dei Traditori; la resistenza ad oltranza nella rocca di Ravaldino e la consegna di due lettere destinate alle corti di Milano e di Bologna. Alla fine, però, gli Orsi irruppero e la presero ostaggio con la Sorella ed i Figli.

Imprevedibili torbidi insanguinarono la piazza del Comune: gli Orsi vi erano acclamati come Liberatori. Alcuni uccisero Antonio da Montecchio; Altri salirono nel palazzo e gettarono dalla finestra il corpo esanime del Riario i cui resti straziati furono poi raccolti dalla confraternita dei Battuti neri che le alloggiarono nella chiesa del Corpus Domini.

Saccheggi e disordini devastarono il territorio.

La reazione di Caterina

Dopo il fatto di sangue si riunì il Consiglio del Magistrato il cui capo Niccolò Tornielli intimò a Checco Orsi di trattare con riguardo Caterina, nel timore di rappresaglie milanesi, e suggerì di fare atto di dedizione alla Chiesa consegnando la città al Cardinale Giovanni Battista Savelli, di stanza a Cesena. Costui prese possesso della città il giorno successivo; incontrò la Vedova a casa dei Sequestratori; la fece trasferire alla Porta San Pietro e la affidò ad un presidio partigiano degli Sforza.

Gli Orsi la portarono avanti alla rocca di Ravaldino minacciando di ucciderla, se Tommaso Feo non si fosse arreso.

Ella finse di voler convincere in tal senso il Castellano che, come da intese convenute, fu irremovibile anche quando il Ronchi minacciò di trapassarla.

Il giorno dopo si ripeté la stessa scena davanti a Porta Schiavonia.

Caterina fu allora rinchiusa con i sette Figli; la Sorella; la Madre e le Balie nella torretta sopra Porta San Pietro e, indomita, chiese al suo fedele Servitore Andrea Bernardi di andare alla rocca e riferire a Francesco Ercolani il piano che le avrebbe consentito di accedervi: Costui avrebbe dovuto convocare Monsignor Savelli per cedergli l’edificio, a patto di poter parlare privatamente con lei onde riscuotere la sua paga.

Il Prelato e il Consiglio acconsentirono; gli Orsi, invece, insistettero perché il dialogo fosse pubblico e il giorno dopo riportarono la Riario davanti alla rocca.

Ella scongiurò il Feo di lasciarla entrare ed Egli, eseguendo gli ordini, disse che le avrebbe parlato solo se fosse entrata da sola e vi fosse restata non oltre tre ore, mentre il resto della sua Famiglia sarebbe stato trattenuto come ostaggio.

Fu un fitto e finto battibecco, alla fine del quale Savelli ordinò di farla entrare.

La Riario si avviò lungo il ponte levatoio e, una volta nella rocca, fatti puntare i cannoni in direzione degli edifici cittadini, andò a riposare.

Dopo tre ore gli Orsi e il Savelli si accorsero di essere stati beffati e furono costretti a tornare in Porta San Pietro, ove presero in consegna i Familiari di lei costringendoli ad implorare il Castellano di arrendersi.

Il Feo non cedette e fece sparare alcuni colpi d'archibugio.

Caterina restò spavaldamente all’interno.

Il 18 aprile un Legato dei Bentivoglio giunse a Forlì ed intimò al Savelli di riconsegnare la città e la Prole alla Sforza: diversamente avrebbe dovuto farsi carico della vendetta di Ludovico il Moro!

Il Porporato rifiutò.

Il 21 aprile un Araldo del Duca di Milano si presentò a chiedere di vedere i Figli di Caterina: gli Orsi sostennero di averli uccisi.

Nel frattempo, raccolto un piccolo Esercito a Castel bolognese, i Bentivoglio attendevano l'arrivo degli Sforzeschi.

Il 26 di quel mese gli Orsi e il Savelli aprirono il fuoco contro la rocca di Ravaldino ed il Feo gli oppose il cannoneggiando della città.

Il giorno successivo, il Castellano di Forlimpopoli Battista da Savona cedette la città al Savelli per quattromila ducati.

Il 29, dodicimila Sforzeschi si acquartierarono fra Faenza e Forlì: erano guidati da Galeazzo Sanseverino, da Giovanni Pietro Carminati di Brambilla detto il Bergamino, dal Marchese mantovano Rodolfo Gonzaga e dal Signore di Bologna Giovanni Bentivoglio.

Inviarono Giovanni Landriani a tentare ancora di persuadere il Savelli a restituire la Signoria a Caterina ma, mentendo, Egli annunciò l'imminente arrivo dell'Esercito pontificio guidato da Niccolò Orsini.

Senza ulteriori indugi, allora, gli Sforzeschi marciarono su Forlì mentre la Sforza faceva sparare con i cannoni degli spiedi su cui erano affissi manifesti esortanti il Popolo alla rivolta contro gli Orsi.

Dopo un vano tentativo di resistenza, gli Orsi, il Ronchi e il Pansechi con altri quindici Congiurati fuggirono.

Il Savelli restò in città.

Signora di Imola e Forlì

Caterina assunse la guida della Signoria e il 30 aprile del 1488 prese a governare in nome del figlio maggiore Ottaviano, riconosciuto dai membri del Comune e dal capo dei Magistrati come nuovo Signore ma troppo giovane per esercitare il potere.

Il primo atto del suo governo consistette nel vendicare la morte di Girolamo, disponendo l’arresto di tutte le persone coinvolte a partire dal Savelli e fino ai Generali papali e al Castellano della rocca di Forlimpopoli ed ordinando la detenzione di tutte le donne degli Orsi e delle Famiglie che avevano condiviso il complotto.

Le case di tutti i Colpevoli furono rase al suolo e gli arredi donati ai Poveri.

Il 30 luglio si apprese che Innocenzo VIII aveva concesso a Ottaviano l'investitura ufficiale dello Stato "sino a linea finita".

Nel frattempo aveva raggiunto Forlì il Cardinale di San Giorgio Raffaele Riario: ufficialmente per proteggere gli Orfani di Girolamo; in realtà, per sorvegliare il governo di Caterina.

Ella, intanto, revisionò il sistema fiscale eliminando alcuni dazi e si dette all'addestramento delle Milizie e all'approvvigionamento di armi.

La Signoria conobbe una fase di pace e benessere, sullo sfondo di due eventi importanti: l'8 aprile del 1492 morì Lorenzo il Magnifico la cui illuminata politica aveva contenuto gli antagonismi fra Stati italiani; il 25 luglio successivo si spense anche Innocenzo VIII, cui successe Alessandro VI, al secolo Rodrigo Borgia.

Tali circostanze minacciarono la stabilità politica complessiva dell’area e riaccesero gli attriti tra il Ducato di Milano e il Regno di Napoli, fino ad arrivare alla crisi del settembre del 1494 quando, aizzato da Ludovico il Moro, calò in Italia il francese Carlo VIII con la pretesa di assumere la guida del Regno partenopeo come Erede degli Angioini.

Durante il conflitto tra Milano e Napoli, collocata in posizione strategica di transito da Nord a Sud, Caterina si tenne neutrale: da una parte c'era lo zio Ludovico che le chiedeva di sostenere Carlo VIII; dall'altra il Cardinale Riario che appoggiava il Re di Napoli assieme al Papa. Dopo l’incontro del 23 settembre del 1494, persuasa dal Duca di Calabria Ferrandino d’Aragona a sostenere Alfonso II, Ella si accinse a difendere Imola e Forlì.

Il 21 ottobre gli eventi subirono la spinta del Sacco di Mordano, attorno alla quale si erano acquartierati circa sedicimila francesi per assediarla ed annientare il Nobile aragonese che decise di non accogliere le richieste di aiuto della Sforza.

Il massacro attuato dagli Oltralpini fu contenuto dai Milanesi di tal Fracasso e, stando alle cronache coeve, Ferrandino se ne addolorò e si dispose ad affrontare in battaglia Gian Francesco Severino che spostò le proprie Truppe inducendo l’Avversario a desistere.

Caterina si considerò tradita dagli Alleati partenopei e si schierò con i Francesi, che pure avevano devastato le sue terre e straziato i suoi Sudditi.

Ferrandino, allora, lasciò Faenza e puntò su Cesena.

Carlo VIII, comunque, preferì attraversare l'Appennino attraverso la Cisa: conquistò Napoli in soli tredici giorni allarmando i Principi italiani, che organizzarono una Lega antifrancese mettendo in fuga il Sovrano invasore.

Seconde e terze nozze

A due mesi dalla morte di Girolamo si sparse voce che Caterina intendesse sposare Antonio Maria Ordelaffi, del quale riceveva frequenti visite: la circostanza era avvalorata da una lettera in cui il probabile Sposo ne aveva scritto al Duca di Ferrara.

La Vedova fece arrestare Quanti avevano diffuso la notizia e presentò doglianze e proteste anche al Senato di Venezia, che confinò l’Ordelaffi per dieci anni in Friuli.

Ella, in realtà, era già innamorata del ventenne Giacomo Feo, fratello del fedele Castellano di Ravaldino: per non perdere la tutela dei Figli e il potere politico, lo sposò segretamente e ne subì la peggiore influenza!

Egli, infatti, temuto ed inviso anche ai Figliastri che meditavano la sua eliminazione, la sera del 27 agosto del 1495 restò vittima di un agguato mortale.

La vendetta di Caterina fu tremenda: alla morte del primo Marito, aveva adottato i criteri della giustizia coeva; nel secondo evento luttuoso fece trucidare perfino i Bambini e le donne incinte dei Congiurati.

Nel 1496 accolse a Corte il Legato della Repubblica di Firenze Giovanni de’ Medici detto il Popolano: era figlio di Pierfrancesco il vecchio; apparteneva al ramo cadetto della prestigiosa Famiglia; era stato esiliato per la aperta ostilità manifestata al Cugino Piero, succeduto al padre Lorenzo il Magnifico nel governo di Firenze.

Quando nel 1494 Carlo VIII di Francia era calato in Italia e la città aveva dovuto accettare la resa incondizionata che permise ai Francesi di marciare su Napoli, Piero fu cacciato da una sollevazione popolare e fu proclamata la Repubblica: Giovanni e il germano tornarono a Firenze e furono rispettivamente nominati Ambasciatore di Forlì e Commissario di tutti i possedimenti romagnoli fiorentini.

Reso omaggio a Caterina, il Popolano ed il suo seguito furono alloggiati negli appartamenti della fortezza di Ravaldino e le dicerie circa un probabile matrimonio tra Costui e la Signora di Imola, legate alla voce che Ottaviano Riario avesse accettato una condotta da Firenze minacciata dai Veneziani, allarmarono tutte le realtà statuali e soprattutto il Duca di Milano.

La Sforza confermò le terze nozze, sulle quali ebbe il consenso dei Figli: da esse nacque quel terzo rampollo chiamato Ludovico in onore del prozio Duca e passato alla storia come Giovanni dalle Bande Nere.

Intanto le relazioni tra Firenze e Venezia peggiorarono: Caterina si preparò alla difesa dopo aver mandato in Toscana un contingente armato capeggiato dal Primogenito.

Improvvisamente Giovanni si ammalò e lasciò il campo di battaglia per recarsi a Forlì, ove le sue condizioni peggiorarono: il 14 settembre del 1498 si spense.

Non perse tempo la Vedova e guardò ancora a nuove nozze, mai celebrate, con Galeazzo Sanseverino Capitano generale del Ducato di Milano.

Guerra!

Caterina si dette all’addestramento delle milizie e chiede il sostegno degli Stati confinanti, ma solo il Marchese di Mantova e Ludovico il Moro le inviarono supporti, il cui comando fu affidato a Gian Francesco Sanseverino mentre raggiungeva Forlì anche Giovanni da Casale.

Nel maggio del 1499 Ella chiese alla zio di riassegnarlo alla sicurezza della Stato poiché era “…fidelissimo et verso me amorevolissimo…”: entrato nelle grazie della Sforza, Egli fu nominato Governatore della rocca d'Imola e della rocca di Forlì.

Dopo un primo attacco dei Veneziani con Antonio Ordelaffi e Taddeo Manfredi, che inflissero gravi danni ai territori occupati, la Sforza ebbe la meglio: la guerra continuò con scaramucce finché, aggirata Forlì, la Serenissima raggiunse Firenze e, da quel momento, alla pugnace Signora fu assegnato l'appellativo di Tigre.

Nel frattempo, al trono di Francia era asceso Luigi XII, che vantava diritti angioini sul Regno di Napoli e pretese sul Ducato di Milano quale discendente di Valentina Visconti.

Prima di calare in Italia, Egli strinse alleanza con i Savoia, con la Repubblica veneta e con Alessandro VI; poi con un formidabile Esercito, nell’estate del 1499, occupò il Piemonte, Genova e Cremona; infine, il 6 ottobre si insediò a Milano, dalla quale era fuggito il Duca Ludovico rifugiatosi in Tirolo sotto la protezione del nipote Massimiliano I d’Asburgo.

Il Papa, che aveva offerto il proprio appoggio in cambio della costituzione di un Regno in terra romagnola per il figlio Cesare detto il Valentino, emise ad hoc una bolla di decadenza delle investiture di tutti i Feudatari dell’area, a partire da Caterina.

Quando i Francesi mossero per conquistare la Romagna, Ludovico Sforza recuperò il controllo del Ducato col sostegno austriaco.

La espropriata Sforza si rivolse ai Fiorentini ma, minacciati dal Borgia, Costoro non accolsero le sue richieste ed Ella prese a fare scorta di armi e viveri; consolidò le fortezze e rifugiò la prole in Toscana.

Il 24 novembre il Borgia giunse ad Imola che gli aprì le porte consentendogli di espugnarne la rocca: Caterina concentrò tutto l’impegno difensivo su Ravaldino, ove risiedeva, e abbandonò Forlì al proprio destino.

Il 19 dicembre l’Invasore prese la città e cinse d’assedio il fortilizio: Ella non cedette alle richieste di resa condivise anche dal Cardinale Riario, ma pose una taglia su Cesare che a sua volta la mise su di lei: diecimila ducati per entrambi, vivi o morti.

Per giorni e giorni le Artiglierie di ambedue le fazioni si bombardarono: quelle di Caterina inflissero ai Francesi perdite tali da sollevare l’ammirazione dell’intera Italia e Niccolò Machiavelli scrisse che furono composti in onore di lei ballate, canzoni ed epigrammi.

Il Borgia cambiò tattica: prese a bombardare la rocca anche di notte finché, dopo sei giorni, aprì nelle mura due grossi varchi che, il 12 gennaio del 1500, resero lo scontro assai cruento: la Sforza continuò a resistere armi in pugno, ma alla fine fu catturata.

A Giovanni da Casale fu imputato il crollo della fortezza: pare che al primo affondo nemico, lungi dall’intimare la resistenza, Egli stesso avesse ordinato la resa.

Ella si dichiarò ostaggio francese, ricorrendo alla legge che impediva alle donne di essere prese Prigioniere di guerra e il Machiavelli, accusando di disimpegno il Casale, così commentò: “… Fece adunque la mala edificata fortezza e la poca prudenza di chi la difendeva vergogna alla magnanima impresa della contessa....”

Roma e poi Firenze

Ottenuta la custodia di Caterina dal Comandante generale francese Yves d’Allègre dietro promessa a trattarla come Ospite e non come Prigioniera, Cesare Borgia si dispose alla conquista di Pesaro, rinviata a causa della riconquista di Milano da parte di Ludovico il Moro il 5 febbraio.

Restato solo con le truppe papali, pertanto, Egli si diresse verso Roma e vi alloggiò la Signora nel palazzo del Belvedere per poi, a fronte di un tentativo di fuga, relegarla in Castel sant’Angelo. Per giustificarne l'indebito arresto ed il trasferimento, si disse che Ella avesse provato ad uccidere il Papa con lettere dalla carta avvelenata per vendicare del subìto esproprio dei feudi.

Si celebrò anche un processo, privo di sentenza: di fatto, Caterina restò detenuta fino al 30 giugno del 1501 quando fu liberata da Yves d'Allègre, giunto a Roma con l'Esercito di Luigi XII per prendere il Regno di Napoli.

Alessandro VI pretese che Ella firmasse la rinuncia ai suoi diritti e ai suoi beni, atteso che nel frattempo Cesare aveva occupato Pesaro, Rimini, Faenza e acquisito la nomina di Duca di Romagna.

Dopo un breve soggiorno presso il Cardinale Raffaele Riario, Caterina partì per Firenze per raggiungere i Figli.

Elesse residenza nella villa medicea di Castello, lamentando maltrattamenti e ristrettezze economiche e conducendo una annosa battaglia legale contro il cognato Lorenzo per la tutela del figlio Giovanni, affidato allo Zio e restituitole nel 1504, quando la Magistratura riconobbe ingiusta la sua incarcerazione.

Il 18 agosto del 1503, intanto, per effetto della morte di Alessandro VI, Cesare Borgia perse tutto il suo potere: i vecchi Feudatari romagnoli insorsero per recuperare quanto gli era stato sottratto.

Caterina non perse tempo e chiese il riconoscimento dei beni del figlio Ottaviano a Giulio II, favorevole al ripristino della Signoria dei Riario su Imola e Forlì; tuttavia la locale Popolazione si dichiarò ostile al suo ritorno e lo Stato fu assegnato ad Antonio Maria Ordelaffi che vi si insediò il 22 ottobre del 1503.

Persa ogni possibilità di recuperare l'antico potere, Ella trascorse gli ultimi anni della sua vita dedicandosi ai Figli e ad experimenti e mantenendo vaghe relazioni sociali.

In aprile del 1509 fu colpita da una polmonite che la stroncò nella notte del 28 maggio quando, appena quarantaseienne, aveva già fatto testamento.

Fu tumulata nel monastero fiorentino delle Murate, davanti all'altare maggiore ed in seguito suo Nipote Granduca di Toscana Cosimo I de’ Medici volle onorarne la memoria con una lapide mai rinvenuta: anche le sue spoglie durante un rifacimento del pavimento ottocentesco, furono disperse.

Caterina Riario Sforza è tuttavia ricordata come figura di spicco dell’Italia rinascimentale a Roma con una piazza e ancora a Forlì, Forlimpopoli, Imola e San Mauro Pascoli con vari toponimi.

Resta il giudizio: “ …E questa fu una femina crudilisima e piena de grandisimo animo perché feze morire molte persone che s'erano inpazate de la morte de suo marito…”

Dotata di straordinaria bellezza, ebbe numerosi Amanti: anche Sudditi e Soldati rozzi e di bassa estrazione sociale.

Il 21 novembre 1499 il cronista veneziano Marin Sanudo decise di fare un breve elenco dei più noti: “ …A dì 21 ditto. Non fu nulla da conto. È da saper, la madona di Forlì, dona quasi virago, have molti [amanti]: prima il suo Jacomo Feo, fu morto; poi Zuan di Medici, morite; poi Achiles Tyberti; et al presente par habi per favorito uno Zuan da Casal…”

Occupatasi a lungo di erboristeria, medicina e cosmesi, Ella raccolse la propria esperienza in Experimenti della excellentissima signora Caterina da Forlì, forte di quattrocento settantuno procedimenti per contrastare le malattie e conservare l’avvenenza.

Il testo fornisce interessanti informazioni sugli usi e costumi del tempo e sullo stato delle conoscenze scientifiche del secolo.

Il suo più importante consigliere in questo ambito fu lo speziale forlivese Lodovico Albertini.

Discendenza

Dal matrimonio con Girolamo Riario ebbe sei figli:

Ottaviano, nato il 7 aprile del 1479 a Roma: Condottiero e Vescovo di Viterbo;

Cesare, nato il 24 agosto del 1480 a Roma: Primate di Pisa;

Bianca, nata il 30 ottobre del 1481 a Roma: Sposa del Marchese Troilo de’ Rossi;

Giovanni Livio, nato il 30 ottobre del 1484 a Forlì;

Galeazzo Maria, nato il 18 dicembre 1485 a Forlì: marito di Maria della Rovere;

Francesco detto Sforzino, nato ad Imola il 17 agosto del 1487: Vescovo di Lucca.

Dall'unione con Giacomo Feo nacque Bernardino Carlo.

Dalle nozze con Giovanni de’ Medici venne al mondo Ludovico, nato il 6 aprile del 1498 a Forlì, detto Giovanni dalle Bande Nere e Padre del Granduca di Toscana Cosimo I de’ Medici.

Bibliografia

C. Brogi: Caterina Sforza

C. Demi: Caterina Sforza

F. Verrier: Caterina Sforza et Machiavel ou l'origine du monde

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